Sentenza n. 88 del 1965
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SENTENZA N. 88

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 9 febbraio 1963, n. 97, promosso con ordinanza emessa il 6 ottobre 1964 dal Pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Zane J. Sandom, iscritta al n. 11 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 78 del 27 marzo 1965.

Udita nella camera di consiglio del 28 ottobre 1965 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico del signor Zane J. Sandom davanti al Pretore di Roma, é stata sollevata, nei confronti dell'art. 39 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della legge 9 febbraio 1963, n. 97, intitolata "Estensione dei contratti collettivi di lavoro del settore del credito registrati in applicazione della legge 14 luglio 1959, n. 741", la quale nel suo articolo unico stabilisce che "le disposizioni dei decreti del Presidente della Repubblica 2 gennaio 1962, nn. 479, 501, 564, 668 e 934, emanate in attuazione della delega contenuta nella legge 14 luglio 1959, n. 741, prorogata dall'art. 2 della legge 10 ottobre 1960, n. 1027, e contenente minimi inderogabili di trattamento economico e normativo si applicano nei confronti dei lavoratori alle dipendenze di aziende di credito, anche se esse abbiano meno di 100 dipendenti".

Il Pretore ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata e in conseguenza ha sospeso il giudizio e rinviato gli atti a questa Corte.

L'ordinanza, dopo le notificazioni e comunicazioni di rito, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 78 del 27 marzo 1965.

2. - I motivi per i quali il Pretore ha considerato la questione non manifestamente infondata, sono da ricercare, a suo avviso, nella violazione dei principi di libertà sindacale e di autonomia collettiva professionale sanciti dall'art. 39 della Costituzione. Il sistema posto dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, ha potuto trovare giustificazione per la carenza legislativa nella materia della contrattazione collettiva e per la tutela dell'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro, e come eccezionale e provvisorio, sicché ogni altra proroga, oltre quella disposta con legge 1 ottobre 1960, n. 1027, sarebbe in contrasto col precetto costituzionale.

Ora la legge impugnata é appunto nella sostanza una proroga ulteriore e perciò costituzionalmente illegittima e, inoltre, estendendo coattivamente un contratto collettivo a categorie diverse di datori di lavoro (nel caso, le piccole aziende di credito), avrebbe ulteriormente violato il principio dell'autonomia sindacale.

3. - Le parti non si sono costituite.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con la sentenza n. 106 dell'11 dicembre 1962 la Corte costituzionale, pur negando che l'art. 39 della Costituzione contenga, nel quarto comma, una riserva normativa o contrattuale in favore dei sindacati, per il regolamento dei rapporti di lavoro, segnatamente se intesa nel senso di precludere al legislatore ordinario ogni e qualsiasi intervento in questa materia, affermò tuttavia che, soltanto mediante il procedimento fissato dal ricordato art. 39, quarto comma, era possibile estendere l'efficacia della contrattazione collettiva erga omnes, anche, cioè, nei confronti dei datori di lavoro e dei lavoratori appartenenti alla medesima categoria, ma rimasti estranei alla contrattazione. L'infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, "recante norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori", fu motivata dalla carenza delle norme di attuazione dell'art. 39 della Costituzione; e la legge stessa fu considerata transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. E codesta particolare natura della legge fu confermata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, affermata contestualmente, della legge 1 ottobre 1960, n. 1027, che, conferendo al Governo il potere di emanare norme uniformi alle clausole degli accordi economici e dei contratti collettivi stipulati entro i dieci mesi successivi all'entrata in vigore della legge di delegazione, toglieva a questa il carattere di transitorietà e di eccezionalità, che giustificava la dichiarazione di infondatezza della relativa questione di costituzionalità.

2. - La Corte ritiene che dai sopra richiamati motivi discenda l'illegittimità della legge impugnata. Essa, infatti, estendendo i contratti di lavoro del settore del credito già registrati in applicazione della legge 14 luglio 1959, n. 741, ai lavoratori dipendenti da aziende di credito con meno di 100 dipendenti, non soltanto non trova giustificazione nella necessità di estendere i minimi di trattamento economico e normativo agli appartenenti a una medesima categoria, assicurando la parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro che si trovano in parità di condizioni; non soltanto, emanata com'é a 4 anni di distanza dalla legge 14 luglio 1959, n. 741, non può essere qualificata come eccezionale e transitoria; non soltanto rappresenta un intervento del legislatore non già a tutela di interessi generali, e dei precetti costituzionali in materia di lavoro, dei quali esso é il destinatario; ma, estendendo l'efficacia dei contratti di lavoro stipulati tra una certa categoria di aziende e i dipendenti di queste (aziende con più di 100 dipendenti) ad un'altra categoria di aziende e ai relativi dipendenti (aziende con meno di 100 dipendenti), ha violato la libertà di organizzazione e di inquadramento che l'ordinamento costituzionale non consente sia limitata o annullata dall'intervento autoritativo della legge, ma considera parte essenziale della libertà di associazione sindacale (cfr. la citata sentenza n. 106 del 1962).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 9 febbraio 1963, n. 97, in riferimento all'art. 39 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 22 dicembre 1965.